mercoledì 10 aprile 2019

Addio blog parrocchiale, benvenuto sito interparrocchiale!

Con l’arrivo di questa primavera il blog della parrocchia di Caldonazzo si rinnova!
I comitati parrocchiali di Caldonazzo, Calceranica, Centa e Tenna, sotto la supervisione di don Emilio, hanno infatti deciso di creare un sito interparrocchiale, visto che nei vari incontri che abbiamo fatto insieme, ci siamo accorti che abbiamo molto in comunque con le parrocchie dei nostri vicini, soprattutto ora che condividiamo anche il parroco!
La risposta a questa esigenza è arrivata tra il resto proprio dalla diocesi che negli ultimi mesi ha messo a disposizione di parrocchie, decanati e unità pastorali un supporto coordinato per la creazione e la gestione di siti internet: il progetto Pweb permette infatti di promuovere le attività delle singole comunità ma anche di creare una rete che avvicina i nostri paesi al centro città, grazie alla facile condivisione dei contenuti che le nuove tecnologie permettono.
Ci siamo quindi impegnati e da gennaio abbiamo provato a “modellare” il nostro sito: abbiamo pensato che alcune parti sono comuni, come gli orari delle Messe, la Caritas,... Altre parti invece sono specifiche di ogni parrocchia e quindi le abbiamo inserite sotto il nome del paese di riferimento, come ad esempio gli avvisi delle attività settimanali che in questo modo sono ricordati anche a chi non ha potuto partecipare alla Santa Messa o semplicemente ha poca memoria. Non siamo esperti del settore tecnologico e quindi è possibile che di tanto in tanto troverete ancora degli errori, in caso scusateci…, in questo ambito c’è sempre da imparare!
Il nuovo sito contiene buona parte di tutto quello che era già presente nel “vecchio” blog, ma è arricchito dalla presenza delle informazioni delle parrocchie vicine ed ha una grafica e strumenti più moderni. Il nostro augurio è che il sito possa fornire informazioni e approfondimenti a tutti coloro che cercano in internet risposte pratiche sulle attività delle nostre parrocchie, ma anche piccoli momenti di riflessione. Vorremmo che fosse un modo per valorizzare le tante attività dei vari gruppi parrocchiali, per sentire le nostre parrocchie come realtà vive, giovani e al passo coi tempi.
Ed ecco allora che vi incoraggiamo a digitare http://parrocchielagocaldonazzo.diocesitn.it/ per dare un’occhiata di tanto in tanto a quanto pubblichiamo!
Ci vediamo in rete!
Gli amministratori del blog

lunedì 1 aprile 2019

QUINTA DOMENICA DI QUARESIMA C

Dal Vangelo secondo Giovanni

In quel tempo, Gesù si avviò verso il monte degli Ulivi. Ma al mattino si recò di nuovo nel tempio e tutto il popolo andava da lui. Ed egli sedette e si mise a insegnare loro.
Allora gli scribi e i farisei gli condussero una donna sorpresa in adulterio, la posero in mezzo e gli dissero: «Maestro, questa donna è stata sorpresa in flagrante adulterio. Ora Mosè, nella Legge, ci ha comandato di lapidare donne come questa. Tu che ne dici?». Dicevano questo per metterlo alla prova e per avere motivo di accusarlo.
Ma Gesù si chinò e si mise a scrivere col dito per terra. Tuttavia, poiché insistevano nell’interrogarlo, si alzò e disse loro: «Chi di voi è senza peccato, getti per primo la pietra contro di lei». E, chinatosi di nuovo, scriveva per terra. Quelli, udito ciò, se ne andarono uno per uno, cominciando dai più anziani.
Lo lasciarono solo, e la donna era là in mezzo. Allora Gesù si alzò e le disse: «Donna, dove sono? Nessuno ti ha condannata?». Ed ella rispose: «Nessuno, Signore». E Gesù disse: «Neanch’io ti condanno; va’ e d’ora in poi non peccare più».

E' vicino il momento in cui Cristo farà la rivelazione più radicale - e la più incomprensibile per l’uomo - della sua potenza: morire sulla croce. È uno “scandalo per gli Ebrei, follia per i popoli pagani” (1Cor 1,23).
Già prima Gesù aveva parlato ai suoi discepoli della croce, che li stupì e confuse. Quello che osservavano, nel comportamento sociale, è che l’uomo utilizza la debolezza degli altri per affermare il proprio potere. Ma Gesù diceva loro: “I re delle nazioni... e coloro che hanno il potere su di esse si fanno chiamare benefattori. Per voi però non sia così” (Lc 22,25). E i farisei che pretendono di usare una povera donna, colta in flagrante delitto di adulterio, per compromettere Gesù, gli danno in effetti l’occasione di insegnare con un esempio i suoi nuovi metodi.
In primo luogo Gesù mette in evidenza l’ipocrisia dei farisei: “Chi di voi è senza peccato scagli per primo la pietra. Dopo, toglie loro qualsiasi argomentazione. Mette in evidenza la loro ignoranza colpevole della legge che insegna che Dio, essendo potente sovrano, giudica con moderazione e governa con indulgenza, perché egli opera tutto ciò che vuole (Sal 115,3). Infine - e questo è il punto più importante del Vangelo -, Gesù insegna alle folle che non esiste più grande manifestazione di potere che il perdono. La morte stessa non ha un così grande potere. In effetti, solo il potere di Cristo, che muore crocifisso per amore, è capace di dare la vita. E soltanto il potere che serve a dare la vita è vero potere.



Neanche io ti condanno

Gesù è per noi cristiani colui che ci svela il volto di Dio. Conosciamo la sua misericordia attraverso le parole e le opere di suo Figlio. Possiamo crederci perché abbiamo visto nella storia di quell’uomo il potere liberante della misericordia.
C’è una certa confusione su questo termine, nel linguaggio comune. Qualcuno immagina che, vista la bontà di Dio, sia piuttosto equivalente peccare o non peccare. Qualcuno pensa che, dati i limiti umani, sia inutile lottare contro i vizi e impegnarsi per la realizzazione di un mondo migliore. Di fatto svilisce il peso dei propri sbagli sulle altre persone.  
Gesù non nega né giustifica il peccato della donna adultera. Anzi, le intima di non peccare più. Di fronte alla domanda di scribi e farisei che gli chiedono un parere sulla Legge di Mosè, Gesù non la corregge. Non è in discussione quel peccato: come Dio non ha tradito il suo popolo, gli esseri umani non tradiscano il meraviglioso patto che costruisce una nuova famiglia.
Gesù sembra prendere tempo. Scrive nella terra polverosa della città, si mette in ascolto delle fatiche di quella persona che ha sbagliato, si chiede se quella condanna estrema e definitiva (la morte per lapidazione) sia davvero la volontà del Padre. La misericordia non cancella la giustizia, semmai mette di fronte alla verità: ha diritto di eseguire la condanna chi non ha mai peccato. Sappiamo che non si trovò nessuno. 



 NEI TUOI PECCATI, I MIEI

A dirti proprio la verità, Signore,
provo un sottile compiacimento nel notare i peccati degli altri,
nell’ergermi a paladino della giustizia,
nel marcare la differenza dai miei comportamenti.
Sì, sbaglierò anch’io, ma in aspetti secondari, in piccole cose…
e la mia mente corre a rintracciare giustificazioni e scusanti,
senz’altro non dovute a mie colpe. Invece gli altri…
Invece gli altri non li conosco,
non so nulla del loro percorso e neppure delle loro possibilità. 
Non ho mai provato le loro fatiche, non ho mai vissuto la loro storia,
non ho il diritto di puntare il dito.
Ma di certo quegli altri non li amo: se avessi un minimo di affetto
proverei a comprenderli prima di giudicarli,
proverei ad accoglierli prima di indicarne le distanze,
proverei a recuperarli prima di condannarli.
Sì, Signore: quando vedo i peccati degli altri ricordami i miei,
affinché la mia misericordia possa meritare la tua,
quando la tua terra coprirà il male che ho fatto
mentre il mio cuore sarà accolto nel tuo.


  
VANGELO VIVO


Qualcuno parla di miracolo; altri di «ultimi che diventano primi». La Fondazione Delancey nasce a San Francisco negli anni 70 e per molti anni è guidata da Mimi Silbert, criminologa di una famiglia scampata all’Olocausto. Il suo scopo è recuperare spacciatori, rapinatori, tossici, violenti ed emarginati di ogni genere. Ha una ricetta semplice: responsabilità, fraternità, futuro. La sede è una bella zona della città: casette basse e eleganti, verde, pulizia, caffetteria libreria, palestra, teatro, sale comuni, officina ripara tutto. Fu costruita dagli stessi ospiti della struttura, sotto la supervisione dei sindacati edili. La prima cosa che viene insegnata è il rispetto reciproco per se stessi. Ognuno ottiene un diploma, impara tre mestieri e mette a frutto le sue passate professionalità a favore degli altri. Chi sgarra viene allontanato e nessuno è costretto a rimanere. Se si superano i primi tre mesi (lo fa il 70%), quasi tutti restano. La fondazione non riceve sussidi: vive del lavoro degli ospiti e della beneficienza. Oggi è presente in varie città degli USA.   


Aprire le porte del proprio cuore

Una delle grandi difficoltà della vita comunitaria è che a volte si obbligano le persone ad essere diverse da quelle che sono; gli si stampa addosso un ideale al quale devono conformarsi. Ci si aspetta troppo da loro e ben presto li si giudica e li si etichetta. In una comunità non si tratta di avere delle persone perfette. Una comunità è fatta di persone legate le une alle altre, ognuna fatta di quel miscuglio di bene e di male, di tenebre e di luce, di amore e di odio. E la comunità non è che la terra nella quale ognuno può crescere senza paura verso la liberazione delle forze dell'amore che sono nascoste in lui. E non ci può essere crescita se non si riconosce che è possibile, e la crescita non si realizza mai se si impedisce alle persone di riconoscersi e di accettarsi così come sono.
Hanno bisogno di essere conformate e incoraggiate alla fiducia. Hanno bisogno di sentire che possono condividere con gli altri anche le loro debolezze, senza essere respinte.
Teresa di Lisieux scrive che meditando sul comandamento di Gesù di amare gli altri come Lui li ama, aveva capito quanto fosse imperfetto il suo amore per le sorelle:
«Ho visto che non le amavo come il Buon Dio le ama. Ah! Ora capisco che la carità perfetta consiste nel sopportare i difetti degli altri, nel non stupirsi affatto delle loro debolezze, nell'edificarsi dei più piccoli atti di virtù che li si vede praticare» (Santa Teresa del Bambino Gesù, Manoscritti autobiografici).
Amare gli altri è riconoscere i loro doni e aiutarli a svilupparli; è anche accettare le loro ferite ed essere pazienti e compassionevoli con loro.'
Accogliere è sempre rischiare, disturba sempre. Ma Gesù non viene forse a disturbarci nelle nostre abitudini, nei nostri comodi, nelle nostre stanchezze?
Bisogna che siamo costantemente stimolati per non cadere in un bisogno di sicurezza e di comodo, e per continuare a camminare dalla schiavitù del peccato e dell'egoismo verso la terra promessa della liberazione.
Accogliere non è per prima cosa aprire la porta della propria casa, ma aprire le porte del proprio cuore, e con questo diventare vulnerabili. È uno spirito, un atteggiamento interiore. È prendere l'altro all'interno di sé, anche se è una cosa che disturba e toglie sicurezza; è preoccuparsi di lui, essere attenti, aiutarlo a trovare il suo posto.
Jean Vanier 



Su Telepace Trento (canale 601)

Sabato 06/04/19 ore 13.30 e ore 20.35
Domenica 07/04/19 ore 13.30 e ore 20.35

Cembra, la maestosa Chiesa di San Pietro
Il Beato Mario Borzaga a "Ritratti di santi"
Chiesa di Trento: al via il servizio tutela minori
Martina Caironi, una testimonianza di forza

 

lunedì 25 marzo 2019

IV DOMENICA DI QUARESIMA

Dal Vangelo secondo Luca
In quel tempo, si avvicinavano a Gesù tutti i pubblicani e i peccatori per ascoltarlo. I farisei e gli scribi mormoravano dicendo: «Costui accoglie i peccatori e mangia con loro». 
Ed egli disse loro questa parabola: «Un uomo aveva due figli. Il più giovane dei due disse al padre: “Padre, dammi la parte di patrimonio che mi spetta”. Ed egli divise tra loro le sue sostanze. Pochi giorni dopo, il figlio più giovane, raccolte tutte le sue cose, partì per un paese lontano e là sperperò il suo patrimonio vivendo in modo dissoluto. Quando ebbe speso tutto, sopraggiunse in quel paese una grande carestia ed egli cominciò a trovarsi nel bisogno. Allora andò a mettersi al servizio di uno degli abitanti di quella regione, che lo mandò nei suoi campi a pascolare i porci. Avrebbe voluto saziarsi con le carrube di cui si nutrivano i porci; ma nessuno gli dava nulla. Allora ritornò in sé e disse: “Quanti salariati di mio padre hanno pane in abbondanza e io qui muoio di fame! Mi alzerò, andrò da mio padre e gli dirò: Padre, ho peccato verso il Cielo e davanti a te; non sono più degno di essere chiamato tuo figlio. Trattami come uno dei tuoi salariati”. Si alzò e tornò da suo padre.
Quando era ancora lontano, suo padre lo vide, ebbe compassione, gli corse incontro, gli si gettò al collo e lo baciò. Il figlio gli disse: “Padre, ho peccato verso il Cielo e davanti a te; non sono più degno di essere chiamato tuo figlio”. Ma il padre disse ai servi: “Presto, portate qui il vestito più bello e fateglielo indossare, mettetegli l’anello al dito e i sandali ai piedi. Prendete il vitello grasso, ammazzatelo, mangiamo e facciamo festa, perché questo mio figlio era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato”. E cominciarono a far festa.
Il figlio maggiore si trovava nei campi. Al ritorno, quando fu vicino a casa, udì la musica e le danze; chiamò uno dei servi e gli domandò che cosa fosse tutto questo. Quello gli rispose: “Tuo fratello è qui e tuo padre ha fatto ammazzare il vitello grasso, perché lo ha riavuto sano e salvo”. Egli si indignò, e non voleva entrare. Suo padre allora uscì a supplicarlo. Ma egli rispose a suo padre: “Ecco, io ti servo da tanti anni e non ho mai disobbedito a un tuo comando, e tu non mi hai mai dato un capretto per far festa con i miei amici. Ma ora che è tornato questo tuo figlio, il quale ha divorato le tue sostanze con le prostitute, per lui hai ammazzato il vitello grasso”. Gli rispose il padre: “Figlio, tu sei sempre con me e tutto ciò che è mio è tuo; ma bisognava far festa e rallegrarsi, perché questo tuo fratello era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato”».

“O Padre, che per mezzo del tuo Figlio operi mirabilmente la nostra redenzione”: è con questa preghiera che apriamo la liturgia di questa domenica. Il Vangelo ci annuncia una misericordia che è già avvenuta e ci invita a riceverla in fretta: “Vi supplichiamo in nome di Cristo: lasciatevi riconciliare con Dio”, dice san Paolo (2Cor 5,20).
Il padre non impedisce al suo secondogenito di allontanarsi da lui. Egli rispetta la sua libertà, che il figlio impiegherà per vivere una vita grigia e degradata. Ma mai si stanca di aspettare, fino al momento in cui potrà riabbracciarlo di nuovo, a casa.
Di fronte all’amore del padre, il peccato del figlio risalta maggiormente. La sofferenza e le privazioni sopportate dal figlio minore sono la conseguenza del suo desiderio di indipendenza e di autonomia, e di abbandono del padre. La nostalgia di una comunione perduta risveglia in lui un altro desiderio: riprendere il cammino del focolare familiare.
Questo desiderio del cuore, suscitato dalla grazia, è l’inizio della conversione che noi chiediamo di continuo a Dio. Siamo sempre sicuri dell’accoglienza del padre.
La figura del fratello maggiore ci ricorda che non ci comportiamo veramente da figli e figlie se non proviamo gli stessi sentimenti del padre. Il perdono passa per il riconoscimento del bisogno di essere costantemente accolti dal Padre. Solo così la Pasqua diventa per il cristiano una festa del perdono ricevuto e di vera fratellanza.


Lasciatevi riconciliare con Dio

Se i messaggi della prima parte della Quaresima ponevano l’accento sulla consapevolezza dei propri peccati e sulla necessità della conversione, questa seconda parte è centrata sulla volontà di Dio Padre di riconciliarsi con noi.

Egli sta sempre dalla nostra parte: provvede al sostentamento del suo popolo all’uscita dall’Egitto (prima Lettura), non imputa agli uomini le colpe offrendo la vita del Cristo come segno di riconciliazione e salvezza (seconda Lettura), reintegra i suoi figli perduti e fa festa quando tornano a casa (Vangelo).

Naturalmente, nel suo amore immenso, non calpesta né limita la nostra libertà di pensare e agire. Per questo la scelta della riconciliazione è soltanto nostra.

Tocca a noi, come il «figliol prodigo», ritornare in noi stessi, comprendere la portata e le conseguenze delle dissolutezze compiute, a volte avere l’impressione di aver toccato il fondo. Va da sé che non è questo il desiderio del Padre, vorrebbe evitarci inutili sofferenze. Dobbiamo però ammettere che possono essere terapeutiche, se servono a evitare in futuro simili errori.

Tocca a noi, come il fratello maggiore, imparare dal Padre la misericordia, che si declina nell’assenza di pregiudizi, nell’accettazione dei limiti dell’altro, in una gioia che non può essere piena se ogni componente della famiglia umana non è salvo.


SUO PADRE USCÌ A SUPPLICARLO 
Facciamo pace, mi dici, Signore. 
Non essere offeso, indignato o furente con me. 
È vero, la terra non è il regno dei tuoi desideri; 
l’angoscia dei tuoi sogni spezzati mi fa male, 
ma questa è la dimensione della vita,
un meraviglioso e complesso 
incrocio di libertà. 
Non ho mai smesso di amarti 
e di provvedere per te. 
In te e attorno a te ci sono le risorse 
perché possa vivere 
la serenità di ogni momento, 
e l’appello perché i tuoi passi si muovano 
verso la gioia che ti attende, 
verso lo scioglimento di ogni nodo e problema, 
verso la casa che ti accoglierà per l’eternità. 
Facciamo pace. 
Io conosco i tuoi limiti 
e li guardo con misericordia. 
Li ho permessi perché tu 
non t’illuda di essere un dio, 
perché possa riconoscere in ogni fratello peccatore 
la matrice dell’umanità. 
So che un giorno sarai capace di fare un salto oltre l’ostacolo, 
lasciandoli andare o dissolvendoli con l’amore.


VANGELO VIVO
 Racconta fra Marciano Morra che Padre Pio, quando venivano a confessarsi i contadini per partecipare alla Messa pasquale, li assolveva sempre. Alle obiezioni rispondeva: «Questi vengono una volta all'anno, se non li assolvo, devono aspettare lanno prossimo». D'altronde lo sappiamo, per riconciliarsi con i suoi figli Dio non vuole aspettare. 

QUESTA SETTIMANA NELLA RUBRICA “PIETRE VIVE”
Su Telepace Trento (canale 601)


Sabato 30/03/19 ore 13.30 e ore 20.35
Domenica 31/03/19 ore 13.30 e ore 20.35

Terlago, l'antica Chiesa di San Pantaleone
Povertà e malattia in dialogo
Alla Cattedra del confronto la purezza
L'ultima tappa di "Passi di Vangelo"

martedì 19 marzo 2019

III DOMENICA DI QUARESIMA

Dal Vangelo secondo Luca
In quel tempo si presentarono alcuni a riferire a Gesù il fatto di quei Galilei, il cui sangue Pilato aveva fatto scorrere insieme a quello dei loro sacrifici. Prendendo la parola, Gesù disse loro: «Credete che quei Galilei fossero più peccatori di tutti i Galilei, per aver subito tale sorte? No, io vi dico, ma se non vi convertite, perirete tutti allo stesso modo. O quelle diciotto persone, sulle quali crollò la torre di Sìloe e le uccise, credete che fossero più colpevoli di tutti gli abitanti di Gerusalemme? No, io vi dico, ma se non vi convertite, perirete tutti allo stesso modo».
Diceva anche questa parabola: «Un tale aveva piantato un albero di fichi nella sua vigna e venne a cercarvi frutti, ma non ne trovò. Allora disse al vignaiolo: “Ecco, sono tre anni che vengo a cercare frutti su quest’albero, ma non ne trovo. Tàglialo dunque! Perché deve sfruttare il terreno?”. Ma quello gli rispose: “Padrone, lascialo ancora quest’anno, finché gli avrò zappato attorno e avrò messo il concime. Vedremo se porterà frutti per l’avvenire; se no, lo taglierai”».


SIGNORE DEL TEMPO
Ti confesso, Signore,
che quando incrocio un annuncio funebre di un mio coetaneo,
un brivido mi corre lungo la schiena.
Possibile che per qualcuno come me
il tempo sia già scaduto?
Credo di non essere pronto per il trapasso,
ho ancora tante cose da fare,
affetti da seguire, storie da incontrare.
È pur vero che nella maggior parte dei casi
tergiverso, non mi sento pronto, rimando a domani…
Ho l’impressione di avere ancora tanta vita davanti,
mentre in realtà ho la sola certezza del tempo presente.
Aiutami, Signore, a vivere ogni tempo
come se fosse l’ultimo, il più importante,
quello decisivo per realizzare il mio compito nel mondo.
Aiutami a riconoscere quanto ogni attimo è prezioso,
se vissuto pienamente, con gioia, tenerezza e amore.
Aiutami a credere che davanti a te un anno è come mille,
che la mia vita è sicura tra le tue mani,
che il futuro che mi attende è molto più grande
di tutto ciò che io posso immaginare.


Il tempo non è infinito

 
C’è un dono, di cui forse non siamo mai abbastanza riconoscenti, che riceviamo ogni giorno: il tempo. Un’opportunità da riempire con le nostre scelte: anche quella di lasciarlo semplicemente scorrere è in effetti una scelta! Viceversa, nel tempo possiamo essere qualcosa: vegetare o portare frutto, per noi o per altri. C’è chi ritiene che la vita sia da spremere e godere; c’è chi matura passando dal ruolo di figlio a quello di padre; c’è chi pensa che le doti e gli strumenti ricevuti assumano il proprio senso soltanto se messi a frutto e condivisi. Quest’ultima prospettiva è quella evangelica. Come avvenne a Gesù, è secondaria la quantità di tempo avuta a disposizione, come la quantità di frutti prodotti. Ciò che conta è l’aver compiuto lo scopo per cui si è al mondo: come quell’albero piantato perché dia fichi al vignaiolo.
Se riteniamo, a qualsiasi età, di dover ancora svolgere il nostro compito, il Vangelo di oggi ci richiama all’urgenza del nostro impegno. Ci ricorda che è bene lavorare sul nostro terreno e concimarlo; fuor di metafora, si tratta di prepararsi per dare il meglio nel campo che ci è più congeniale. E poi raggiungerlo. I fatti di cronaca a cui Gesù accenna, come altri mille che possiamo trovare in qualsiasi quotidiano, ci dicono che il tempo che è assegnato a ciascuno non dipende dai suoi meriti o dalle sue colpe. Semplicemente, non lo conosciamo. Per questo non possiamo permetterci di sciuparlo


VANGELO VIVO 
Nella finale del Super Bowl, uno degli eventi televisivi più seguiti in America, una nota casa automobilistica ha scelto di usare per il suo spot le parole registrate di Martin Luther King in un sermone pronunciato due mesi prima di essere ucciso. Ascoltate oggi le sue parole riassumono la sua vita. «Vuoi essere importante? Perfetto. Vuoi essere riconosciuto? Perfetto. Vuoi diventare grande? Perfetto. Ma se vuoi essere riconosciuto come il più grande, devi servire gli altri. Questa è la grandezza. Se vorrete dire che ero un protagonista, dite che ero un protagonista per la giustizia. Dite che ero un protagonista per la pace. Ero un protagonista per la rettitudine. E che tutte le altre cose superficiali non contavano nulla. Non voglio avere dei soldi da lasciare in eredità. Non voglio avere cose belle e di lusso da lasciare in eredità. Ma voglio lasciare in eredità una vita di impegno».


QUESTA SETTIMANA NELLA RUBRICA “PIETRE VIVE”
Su Telepace Trento (canale 601)

Sabato 23/03/19 ore 13.30 e ore 20.35
Domenica 24/03/19 ore 13.30 e ore 20.35

Fra Francesco Patton, Custode di una terra Santa
L'antica Abbazia di Novacella
Cattedra del Confronto, incontro sulla mitezza
I tesori d'arte del Castello del Buonconsiglio



La coscienza lei come le gatizole:
chi che ghe n'ha
e chi no ghe n'ha

sabato 16 marzo 2019

SECONDA DOMENICA DI QUARESIMA C

Dal Vangelo secondo Luca

In quel tempo, Gesù prese con sé Pietro, Giovanni e Giacomo e salì sul monte a pregare. Mentre pregava, il suo volto cambiò d’aspetto e la sua veste divenne candida e sfolgorante. Ed ecco, due uomini conversavano con lui: erano Mosè ed Elìa, apparsi nella gloria, e parlavano del suo esodo, che stava per compiersi a Gerusalemme.
Pietro e i suoi compagni erano oppressi dal sonno; ma, quando si svegliarono, videro la sua gloria e i due uomini che stavano con lui.
Mentre questi si separavano da lui, Pietro disse a Gesù: «Maestro, è bello per noi essere qui. Facciamo tre capanne, una per te, una per Mosè e una per Elìa». Egli non sapeva quello che diceva.
Mentre parlava così, venne una nube e li coprì con la sua ombra. All’entrare nella nube, ebbero paura. E dalla nube uscì una voce, che diceva: «Questi è il Figlio mio, l’eletto; ascoltatelo!».
Appena la voce cessò, restò Gesù solo. Essi tacquero e in quei giorni non riferirono a nessuno ciò che avevano visto


Nella Trasfigurazione, Gesù è indicato come la vera speranza dell’uomo e come l’apogeo dell’Antico Testamento. Luca parla dell’“esodo” di Gesù, che contiene allo stesso tempo morte e risurrezione.
I tre apostoli, vinti dal sonno, che rappresenta l’incapacità dell’uomo di penetrare nel Mistero, sono risvegliati da Gesù, cioè dalla grazia, e vedono la sua gloria. La nube, simbolo dell’immensità di Dio e della sua presenza, li copre tutti. I tre apostoli ascoltano le parole del Padre che definiscono il Figlio come l’eletto: “Questi è il Figlio mio, l’eletto, ascoltatelo”. Non c’è altro commento. Essi reagiscono con timore e stupore. Vorrebbero attaccarsi a questo momento, evitare l’attimo seguente della discesa dalla montagna e il suo fardello di abitudine, di oscurità, di passione.
La Gloria, Mosè ed Elia, scompaiono. Non rimane “che Gesù solo”, sola verità, sola vita e sola via di salvezza nella trama quotidiana della storia umana. Questa visione non li solleverà dal peso della vita di tutti i giorni, spesso spogliata dello splendore del Tabor, e neanche li dispenserà dall’atto di fede al momento della prova, quando i vestiti bianchi e il viso trasfigurato di Gesù saranno strappati e umiliati. Ma il ricordo di questa visione li aiuterà a capire, come spiega il Prefazio della Messa di oggi, “che attraverso la passione possiamo giungere al trionfo della risurrezione”.



Uno squarcio nell’incredulità  

 Quanto conta nella nostra vita la fede? Non soltanto l’adesione al «credo» cristiano, ma l’atteggiamento di fiducia in Dio Padre, la consapevolezza che lui manterrà le sue promesse, la scelta di abbandonarsi tra le sue mani?
Non mancava certo di fede il patriarca Abramo, che credette a una discendenza numerosa come le stelle del cielo quando non aveva neppure un figlio. Come Gesù, colloquiava con Dio ed era aperto a ciò che ci supera. Quanto al Vangelo, avviene come un prodigio che ci conferma, almeno per un tempo limitato, che siamo sulla giusta strada.
I segni non sono prove, giungono improvvisi in un contesto incerto, come un dono gratuito, e si possono soltanto testimoniare. Pietro, Giacomo e Giovanni avranno certo dubitato sulla realtà della visione di Gesù trasfigurato insieme a Mosè ed Elia, di cui certamente non conoscevano il volto. Avrebbero voluto afferrare la verità, ma questa scomparve nella nube, segno dello Spirito di Dio.
Sappiamo che questo segno non fu sufficiente a renderli più coraggiosi degli altri Apostoli nei momenti della passione e della morte del Signore. Ma tutto questo è stato scritto per noi, per spingerci a fidarci in un Dio che ha ben chiara la gloria che spetta a chi lo avrà intuito e seguito, pur tra gli errori e i dubbi dell’esistenza, nel suo percorso di vita. 


IL MIO ESODO

Anch’io, Signore, ho il mio esodo da compiere.
Debbo uscire dal sonno dell’entusiasmo e della fiducia,
della gioia e della carità, della gentilezza e del perdono.
Debbo uscire dalle nubi dei timori e delle incertezze,
delle tensioni e delle fatiche, delle cadute e delle malinconie.
Debbo uscire dalle sabbie mobili
dei vizi che ammorbano le relazioni che sto vivendo,
dei peccati che sviliscono il mio incontro con te,
delle notti che spengono i miei slanci di vita.
Debbo uscire dalle mie pretese
di avere chiaro e lineare
il mio futuro e quello dei miei cari,
perché tu mi vuoi vero e grande
nonostante i limiti che
la vita con i suoi incontri
porta con sé. 


VANGELO VIVO

 

Solo dopo un’ora di colloquio il giornalista Michele Brambilla trova la sfrontatezza per la domanda che si era ripromesso di rivolgere al cardinale più vecchio del mondo: «Ma lei eminenza ha paura della morte?». «No», rispose Ersilio Tonini, 97 anni, con immediatezza e vigore. «Ha mai dubbi di fede?». «No, grazie a Dio non ho mai avuto dubbi». Risposta forse scontata per un prelato, ma il giornalista annota che il cardinale trasmette qualcosa che ti fa pensare: questo ci crede davvero. L’intervista si svolge nella sua abitazione: due piccole stanze in un istituto di Ravenna per malati gravi. Ma non è lì perché sta poco bene, è la sua casa da quando nel 1975 fu nominato vescovo di Ravenna. Decise subito di lasciare l’appartamento riservato all’arcivescovo, in una splendido palazzo, a una comunità di recupero per tossicodipendenti. «Ho imparato a non aver paura della morte – prosegue – quando sono stato parroco a Salsomaggiore. Appena arrivato mi mandano a chiamare: c’è uno che sta morendo e vuole il prete. Ricordo ancora che faceva il tassista. Mi dice: reverendo mi aiuti, voglio comparire davanti a Dio con l’anima libera. Andava incontro alla morte con una serenità impensabile. Mi dissi: c’è sempre gente che ci supera, all’infinito, nella fede».




Su Telepace Trento (canale 601)

Sabato 16/03/19 ore 13.30 e ore 20.35
Domenica 17/03/19 ore 13.30 e ore 20.35

In cammino verso la Pasqua
La Chiesa di S. Apollinare di Arco, luogo dell'Infinito
Alla Cattedra del confronto l'umiltà
Chiara Lubich in "Ritratti di santi"